L’economia brasiliana nell’amministrazione Kubitschek

Juscelino Kubitschek di fronte al palazzo presidenziale brasiliano, nella capitale costruita durante il suo governo. Immagine di pubblico dominio.

Il governo di Juscelino Kubitschek (JK), che si estese dal 1956 al 1961, segnò una pietra miliare nella storia del Brasile, caratterizzato da un periodo di intense trasformazioni e avanzamenti nel processo di industrializzazione e modernizzazione del paese. Durante la sua presidenza, Kubitschek attuò l’ambizioso Plano de Metas (Piano di Obiettivi), il cui motto era “50 anni in 5”, con l’obiettivo di accelerare lo sviluppo nazionale. Questo piano comportò numerosi investimenti ambiziosi, tra i quali la costruzione di una nuova capitale per il paese, la città di Brasília. Tuttavia, tali iniziative portarono anche conseguenze dannose per la stabilità economica del paese, come alti livelli di debito pubblico e inflazione. I problemi derivanti dallo sviluppo sfrenato sarebbero stati risolti solo molti anni dopo.

La ricerca dello sviluppo nazionale

Nel 1955, durante la sua campagna elettorale per la presidenza, Juscelino Kubitschek (JK) evidenziò la fase di transizione che il Brasile stava attraversando, da un passato agrario a un futuro promettente, che sarebbe stato industriale e urbano. Ciò si riflesse nei dati economici dell’epoca, che indicavano che il settore agricolo, nel 1956, rappresentava una quota del PIL simile a quella del settore industriale — circa il 21% del totale.

Assunto il governo nel 1956, JK si trovò di fronte a uno scenario economico impegnativo, segnato da un’inflazione in fase di riduzione, ma ancora a livelli elevati, e dall’urgenza di cambiamenti strutturali nell’economia brasiliana.

In risposta a queste sfide, il suo governo adottò una strategia di sviluppo nazionale-sviluppista, un approccio che cercava di catalizzare lo sviluppo nazionale con un’attenzione speciale all’industrializzazione. Questo movimento fu simboleggiato dall’ambizioso motto di “50 anni in 5”, che rifletteva l’intenzione di accelerare significativamente lo sviluppo del paese. Come spiegato dallo storico brasiliano Boris Fausto, il nazional-sviluppismo si distingue dal nazionalismo tradizionale per la sua apertura ai capitali stranieri. In questa visione, non si trattava solo di promuovere l’industria nazionale, ma di favorire un’economia diversificata che integrasse lo Stato, il settore privato nazionale e gli investimenti esteri in uno sforzo congiunto per industrializzare il Brasile.

Con l’obiettivo di strutturare questa visione e garantirne l’esecuzione, JK creò il Consiglio per lo Sviluppo (Conselho do Desenvolvimento) nel 1956. Fu il primo organismo permanente di pianificazione economica del Brasile. Sotto la guida di Lucas Lopes, anche presidente della Banca Nazionale di Sviluppo Economico (Banco Nacional de Desenvolvimento Econômico, BNDE), il Consiglio riuniva vari ministeri e organismi governativi, mirando a semplificare la burocrazia statale e organizzare l’economia in modo più efficace. Questo organismo era direttamente subordinato alla Presidenza ed era dedicato all’identificazione dei settori con potenziale di crescita, al fine di aprire la strada a una nuova era di prosperità industriale e urbana.

Il Piano di Obiettivi

Il Plano de Metas (Piano di Obiettivi) rappresentò la pietra angolare dello sviluppismo durante il governo di Juscelino Kubitschek ed è riconosciuto come il più completo e coerente insieme di investimenti mai pianificato nell’economia brasiliana. Questo ambizioso piano fu redatto dal Consiglio per lo Sviluppo ed era caratterizzato come un progetto quinquennale, che includeva investimenti nelle seguenti aree chiave:

  • Alimentazione
  • Educazione
  • Energia: con il 43% degli investimenti totali.
  • Industria pesante, in particolare siderurgia: 20% del totale.
  • Trasporti, in particolare trasporto stradale, con l’installazione di produttori di veicoli stranieri in Brasile, ma anche investimenti significativi nell’industria navale: 30% del totale.
  • Costruzione di una nuova capitale per il paese: la città di Brasília, considerata l’obiettivo ultimo (meta-síntese). Originariamente non era inclusa nel piano, ma fu successivamente aggiunta come 31° e ultimo obiettivo. Sarebbe stata costruita con denaro separato dal bilancio.

Le radici del Plano de Metas risalgono a idee discusse all’Istituto Superiore di Studi Brasiliani (Instituto Superior de Estudos Brasileiros, ISEB), un’istituzione legata al Ministero dell’Istruzione e creata nel 1955. Intellettuali, professori, militari e politici associati all’ISEB difendevano l’importanza di combinare capitali nazionali con capitali stranieri per superare il sottosviluppo. Questa visione fu rafforzata dal Rapporto del Gruppo ECLAC-BNDE del 1955, che, sebbene non attuato, influenzò fortemente il Plano de Metas identificando aree chiave per gli investimenti e potenziali colli di bottiglia nell’economia.

Il Plano de Metas si basava su una triade economica, con la seguente divisione di competenze tra le entità coinvolte:

  • Il 50% del capitale investito sarebbe provenuto dallo Stato, destinato principalmente a infrastrutture e beni capitali. L’importo preventivato per il piano rappresentava circa il 5% del PIL reale stimato per il Brasile nel periodo dal 1957 al 1961.
  • Il 35% sarebbe provenuto da capitali privati nazionali, focalizzato sui beni non durevoli — anche se le aziende brasiliane avevano difficoltà a sostituire le loro macchine obsolete, a causa del contesto inflazionistico.
  • Il 15% sarebbe provenuto da capitali stranieri, focalizzato sui beni durevoli, spesso con il supporto di finanziamenti pubblici.

Durante il governo JK, uno degli elementi che maggiormente incoraggiò l’insediamento di multinazionali in Brasile fu l’Istruzione 70 della SUMOC, la banca centrale, introdotta nell’ottobre 1953 da Getúlio Vargas. Implementò una sorta di protezionismo attraverso tassi di cambio multipli, garantendo che l’accesso al crescente mercato brasiliano fosse in gran parte riservato alle aziende operanti all’interno del paese.

Quando il governo brasiliano lanciò il Plano de Metas, optò per non divulgare inizialmente i dettagli su come sarebbe stato finanziato. Questa decisione strategica mirava a eludere le critiche attese che sarebbero sorte nel settore privato di fronte a un piano così ambizioso. Con il tempo, le principali fonti di denaro per finanziare il piano divennero chiare.

Una di queste era l’emissione di moneta, una risorsa utilizzata dal governo perché aveva difficoltà a raccogliere sufficienti fondi attraverso la vendita di obbligazioni, rendendo l’emissione monetaria una componente cruciale per il finanziamento del piano.

Le risorse in valuta nazionale brasiliana provenivano da varie fonti. Circa il 40% proveniva dal bilancio del governo federale, inclusa la riallocazione di fondi da altre aree del bilancio; il 10% proveniva dai bilanci dei governi statali; il 35% era costituito da aziende private e statali; e le banche pubbliche, come il BNDE e il Banco do Brasil, contribuirono con il 15%, offrendo credito a lungo termine con tassi di interesse bassi e periodi di grazia. Considerando lo scenario inflazionistico dell’epoca, questi prestiti erano caratterizzati da tassi di interesse reali negativi.

Per quanto riguarda le risorse in valuta estera, queste provenivano da prestiti con organizzazioni internazionali ed entità estere ufficiali, oltre agli investimenti effettuati secondo le linee guida dell’Istruzione 113 della SUMOC, emanata nel gennaio 1955, ancora durante il governo di Café Filho. Questa istruzione permise a più della metà degli investimenti esteri durante il governo JK di avvenire tramite l’importazione di beni capitali senza copertura valutaria — ovvero, senza i movimenti di capitali in valuta estera.

Il Consiglio per lo Sviluppo era incaricato di eseguire gli investimenti previsti nel Plano de Metas, attraverso la supervisione dei suoi gruppi esecutivi interni. Questi gruppi funzionavano come una struttura parallela alla tradizionale burocrazia statale ed erano responsabili della revisione degli obiettivi del Piano man mano che venivano raggiunti o di fronte a potenziali battute d’arresto.

Nonostante le sfide e gli ostacoli, la maggior parte degli obiettivi del Plano de Metas furono raggiunti, sia nel settore pubblico che in quello privato. Tra i successi si annoverano la costruzione di autostrade, con un’esecuzione che superò le previsioni del 38%; la generazione di energia elettrica, raggiungendo il 72% dell’obiettivo; e la produzione di veicoli, raggiungendo il 78% dell’obiettivo. Tuttavia, ci furono aree in cui il piano non raggiunse i risultati attesi, come nella produzione di carbone, con solo il 23% dell’obiettivo raggiunto; nella raffinazione del petrolio, con il 26%; e nella costruzione di ferrovie, con il 32%, nonostante la creazione della Rete Ferroviaria Federale (RFFSA) sia generalmente vista come un risultato positivo.

Il Programma di Stabilizzazione Monetaria (PEM)

Nell’ottobre 1958, di fronte a uno scenario economico segnato dall’aumento dell’inflazione, il governo brasiliano decise di introdurre una strategia di intervento denominata “Programma di Stabilizzazione Monetaria” (Plano de Estabilização Monetária, PEM). Questo piano fu sviluppato da Lucas Lopes, che aveva recentemente assunto la carica di Ministro delle Finanze, in collaborazione con Roberto Campos, presidente della Banca Nazionale di Sviluppo Economico (BNDE). L’obiettivo del PEM era di attuare gradualmente misure restrittive, in modo da renderlo compatibile con il Plano de Metas, mirando alla stabilizzazione economica senza ostacolare lo sviluppo del paese.

Il PEM era strutturato in due fasi principali. La prima, definita come periodo di transizione e aggiustamento che sarebbe durato fino alla fine del 1959, mirava a correggere le distorsioni economiche causate dall’inflazione e a promuovere aggiustamenti reali, piuttosto che meramente nominali, dei salari — rispondendo a una crescente domanda sociale di maggiore equità. La seconda fase si sarebbe concentrata sulla stabilizzazione vera e propria, con l’obiettivo di limitare l’espansione dell’offerta di moneta a quanto strettamente necessario per garantire una crescita sostenibile del Prodotto Interno Lordo (PIL).

Tra le misure proposte dal PEM, spiccano la fissazione di limiti all’espansione monetaria e alla concessione di prestiti da parte del Banco do Brasil, nonché riforme fiscali e amministrative volte a una maggiore progressività nella tassazione e a una maggiore efficienza nel servizio pubblico, insieme a una riforma salariale. Quest’ultima intendeva collegare gli aggiustamenti salariali nelle aziende statali agli aumenti tariffari e contenere i salari nel settore privato. Furono anche proposte restrizioni indirette alle importazioni, con l’obiettivo di risolvere gli squilibri nella bilancia dei pagamenti.

Tuttavia, non appena il PEM fu inviato al Congresso, divenne oggetto di intense controversie, affrontando un’ampia gamma di oppositori. Gli imprenditori resistevano all’idea di un taglio al credito bancario, da cui dipendevano per finanziare il loro capitale circolante. I coltivatori di caffè, dal canto loro, guardavano con sospetto qualsiasi misura che potesse influenzare la politica di acquisto del caffè da parte del governo. Sebastião Paes de Almeida, all’epoca presidente del Banco do Brasil, si oppose al taglio del credito alle industrie. Anche sindaci e governatori, interessati a mantenere un ambiente di prosperità economica che portava loro benefici politici, si schierarono contro il piano. Sulla scena mondiale, il Fondo Monetario Internazionale (FMI) criticò l’approccio gradualista del PEM, sostenendo un aggiustamento più radicale. Infine, i sindacati temevano gli effetti restrittivi del piano sui lavoratori dipendenti, sospettando un accordo tra il governo brasiliano e gli “imperialisti”, teoricamente rappresentati dal FMI.

Il PEM iniziò a essere attuato nel gennaio 1959, a partire da misure come il taglio dei sussidi per l’importazione di grano e petrolio. Queste azioni, sebbene volte alla stabilizzazione economica, ebbero impatti immediati sul costo della vita, perché aumentarono i prezzi di questi prodotti essenziali. Tuttavia, il Banco do Brasil non aderì pienamente alle linee guida e agli obiettivi stabiliti dal PEM, rimanendo una fonte di resistenza al piano.

Col tempo, il PEM non raggiunse i suoi obiettivi di stabilizzazione monetaria, principalmente perché il governo optò per dare priorità al Plano de Metas. Si credeva che la migliore strategia per attrarre investimenti esteri fosse attraverso una politica aggressiva di investimenti, sostenendo l’idea che il Brasile dovesse affrontare un certo livello di inflazione per diventare più industrializzato.

Alla luce delle difficoltà incontrate dal PEM, ci fu un cambiamento nella leadership economica del paese a metà del 1959. Lucas Lopes fu rimosso dalla sua posizione di Ministro delle Finanze, sostituito da Sebastião Paes de Almeida. Contemporaneamente, Roberto Campos fu sostituito da Lúcio Meira come presidente del BNDE. Questi cambiamenti riflettevano l’insoddisfazione per il PEM e la preferenza del governo per altri approcci economici.

In questo contesto di cambiamento delle politiche economiche, il governo di Juscelino Kubitschek decise anche di rompere con il FMI. Questa decisione fu presa dopo che il Brasile si aspettava, ma non ricevette, un supporto cruciale dal Fondo per facilitare le negoziazioni di prestiti privati. Il governo JK annunciò pubblicamente questa posizione come una rottura con l’istituzione, e non solo con le negoziazioni in corso. Questo gesto fu ben accolto da vari settori della società brasiliana, inclusi il Partito Laburista Brasiliano (PTB), il Partito Comunista Brasiliano (PCB) (allora illegale), la Federazione delle Industrie dello Stato di San Paolo (Fiesp) e la leadership militare.

Tuttavia, è importante notare che, nonostante questa posizione conflittuale, il Brasile non cessò di essere membro del FMI. In pratica, ciò che accadde fu un gesto di protesta contro l’istituzione, senza una rottura formale. Inoltre, le relazioni tra Brasile e FMI si normalizzarono in breve tempo. L’anno seguente, nel contesto della visita del Presidente degli Stati Uniti Dwight Eisenhower in Brasile, il paese riprese le negoziazioni con il Fondo, a condizioni considerate più favorevoli per l’economia brasiliana.

Conclusione

Durante il governo di Juscelino Kubitschek, il Brasile attraversò una serie di trasformazioni significative che delinearono la direzione del paese nei decenni successivi. Tra gli aspetti positivi, spicca la forte crescita economica, con il paese che raggiunse tassi di crescita superiori alla media sia per l’America Latina che per il mondo. Dopo una modesta crescita del 2,9% nel 1956, principalmente influenzata da cattivi raccolti, il Brasile vide la sua economia espandersi significativamente, raggiungendo picchi di crescita variabili tra il 7,7% e il 10,8% negli anni successivi fino al 1961. Questa espansione economica fu accompagnata da notevoli progressi nell’integrazione e nell’espansione interna del territorio nazionale, con investimenti che stabilirono le basi per risolvere problemi infrastrutturali e facilitare la crescita futura del PIL.

In questo periodo, ci fu un cambiamento fondamentale nella composizione del PIL brasiliano, con l’industria che per la prima volta superò l’agricoltura, sebbene il settore dei servizi rimanesse più significativo di entrambi. Questo avanzamento segnò la transizione del Brasile da un’economia essenzialmente agraria a un’economia industriale, con il caffè che perse il suo primato nel PIL, pur continuando a essere un prodotto chiave nel commercio estero. Inoltre, il paese entrò in una nuova fase di industrializzazione, ponendo l’accento sulla produzione di beni durevoli e beni capitali, senza trascurare l’importanza dei beni non durevoli. Parallelamente, alcuni indicatori sociali, come l’aspettativa di vita, i tassi di mortalità infantile e i livelli di alfabetizzazione, mostrarono notevoli miglioramenti, sebbene fossero ancora lontani dall’ideale.

Tuttavia, il governo JK affronta anche critiche per aver lasciato una pesante eredità ai suoi successori. Ci fu una notevole omissione in aree critiche come l’agricoltura e l’istruzione di base. La concentrazione del reddito e la concentrazione regionale della produzione approfondirono le disuguaglianze sociali e regionali, problemi che JK promise di affrontare in un futuro mandato presidenziale. Inoltre, le accuse di corruzione, in particolare riguardanti le imprese di costruzione, e un tasso medio di inflazione del 23,8% evidenziarono problemi nell’economia. Questa inflazione agì come una forma di estrazione forzata di risparmi dalla gente comune, convogliando risorse verso le aziende coinvolte nel Plano de Metas.

Inoltre, il governo registrò significativi deficit fiscali, poiché il suo debito raddoppiò in termini reali, pur rimanendo a un terzo delle entrate totali del governo federale. Ci furono anche battute d’arresto nella bilancia dei pagamenti, con forti deficit causati da un calo dei prezzi del caffè e, di conseguenza, delle esportazioni, che diminuirono di quasi il 15% tra il 1956 e il 1960. Nonostante questi ostacoli, ci fu un eccessivo afflusso di capitali esteri in Brasile — ma questo non fu sufficiente a compensare le importazioni del paese, tranne nel 1961, quando non ci fu deficit nella bilancia dei pagamenti.

Questa dualità segna l’eredità del governo JK, caratterizzata sia da significativi progressi nelle infrastrutture e nell’industrializzazione sia da sfide sociali ed economiche che avrebbero influenzato lo sviluppo del Brasile in futuro.


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