Riassunto: Diplomazia di Kissinger – Capitolo 16 – Tre Approcci alla Pace

L'arte della diplomazia, di Henry Kissinger. Dettaglio copertina del libro.

Nel 1994, Henry Kissinger pubblicò il libro L’arte della diplomazia. Era uno stimato studioso e diplomatico che prestò servizio come Consigliere per la Sicurezza Nazionale e Segretario di Stato degli Stati Uniti. Il suo libro offre un’ampia panoramica della storia degli affari esteri e dell’arte della diplomazia, con un focus particolare sul XX secolo e sul mondo occidentale. Kissinger, noto per il suo allineamento con la scuola realista delle relazioni internazionali, indaga i concetti di equilibrio di potere, ragion di Stato e Realpolitik attraverso diverse epoche.

Il suo lavoro è stato ampiamente lodato per la sua portata e l’intricato dettaglio. Tuttavia, ha anche affrontato critiche per il suo focus sugli individui rispetto alle forze strutturali e per aver presentato una visione riduttiva della storia. Inoltre, i critici hanno anche sottolineato che il libro si concentra eccessivamente sul ruolo individuale di Kissinger negli eventi, potenzialmente sopravvalutando il suo impatto. In ogni caso, le sue idee meritano considerazione.

Questo articolo presenta un riassunto delle idee di Kissinger nel sedicesimo capitolo del suo libro, intitolato “Tre Approcci alla Pace: Roosevelt, Stalin e Churchill nella Seconda Guerra Mondiale”.

Puoi trovare tutti i riassunti disponibili di questo libro, oppure puoi leggere il riassunto del capitolo precedente del libro, cliccando su questi link.


L’invasione tedesca dell’Unione Sovietica segnò l’inizio di un conflitto genocida senza precedenti, costituendo la più grande guerra terrestre nella storia umana. Mentre l’esercito tedesco penetrava in profondità nel territorio russo, Hitler estese il conflitto a livello globale dichiarando guerra agli Stati Uniti. Nonostante i successi iniziali, le forze tedesche non riuscirono ad assicurarsi una vittoria decisiva, culminata in una grave sconfitta a Stalingrado durante gli inverni 1941 e 1942-43, dove la Sesta Armata fu annientata. Questa perdita cruciale distrusse la macchina bellica tedesca, consentendo ai leader Alleati Churchill, Roosevelt e Stalin di iniziare a immaginare un mondo postbellico e strategie di vittoria.

Le visioni del dopoguerra variavano notevolmente tra gli Alleati, plasmate dalle loro storie nazionali. Churchill cercava di ripristinare il tradizionale equilibrio di potere in Europa rafforzando Gran Bretagna, Francia e una Germania riabilitata per controbilanciare il potere sovietico. Al contrario, Roosevelt propugnava un modello di “Quattro Poliziotti” – in cui Stati Uniti, Regno Unito, Unione Sovietica e Cina avrebbero mantenuto la pace globale, prevedendo la Germania come potenziale minaccia futura. Stalin mirava ad espandere l’influenza sovietica nell’Europa centrale, creando stati cuscinetto per salvaguardare contro qualsiasi recrudescenza dell’aggressione tedesca.

Roosevelt era unicamente progressista nel suo rifiuto degli approcci diplomatici europei tradizionali, concentrandosi invece sull’eradicazione delle minacce naziste per stabilire un ordine internazionale armonioso. Era sprezzante delle lezioni storiche che suggerivano che una sconfitta totale della Germania avrebbe potuto lasciare un vuoto di potere da riempire per l’Unione Sovietica. Al contrario, egli immaginava una pace postbellica mantenuta non dagli equilibri di potere, ma da un sistema di sicurezza collettiva sostenuto dalle nazioni Alleate attraverso la cooperazione e la vigilanza reciproche.

Saldo nella sua risolutezza, Roosevelt pianificò il ritorno a casa delle truppe americane dopo la guerra, evitando qualsiasi presenza militare permanente in Europa che potesse provocare l’opposizione sovietica. La sua corrispondenza con Churchill nel 1944 rifiutava esplicitamente qualsiasi obbligo americano di mantenere forze in Francia dopo la liberazione e respingeva qualsiasi ruolo degli Stati Uniti nella ricostruzione economica dell’Europa, considerandola una responsabilità britannica dati i loro legami più stretti e i maggiori interessi nella regione.

Alla Conferenza di Yalta nel febbraio 1945, le interazioni di Roosevelt con Churchill e Stalin misero in evidenza il suo disprezzo per il rafforzamento della Francia e il suo scetticismo sulla capacità della Gran Bretagna di contrastare l’espansione sovietica da sola. Egli prevedeva un ordine postbellico in cui gli Alleati avrebbero supervisionato il disarmo della Germania e supervisionato l’Europa senza fare affidamento sull’intervento militare americano o sostenere le ambizioni coloniali di Gran Bretagna e Francia.

La visione di Roosevelt per la governance globale, ispirata all’idealismo wilsoniano e alla credenza nell’eccezionalismo americano, cercava un ordine mondiale libero dalle dinamiche di potere tradizionali, facilitato dai Quattro Poliziotti. Tuttavia, questo concetto affrontò sfide simili a quelle della Santa Alleanza di Metternich, sforzandosi di ottenere la pace attraverso valori condivisi tra i vincitori – una nozione complicata dalle differenze ideologiche tra gli Alleati e dall’implacabile ricerca degli interessi sovietici da parte di Stalin. In definitiva, gli ambiziosi piani di Roosevelt per una comunità internazionale armoniosa furono ostacolati da queste differenze inconciliabili e dalle realtà pratiche delle dinamiche di potere postbelliche.

La visione di pace di Stalin riecheggiava secoli di pensiero strategico russo, mirando a garantire un’ampia zona di sicurezza intorno all’Unione Sovietica. Sostenne la richiesta di Roosevelt di resa incondizionata delle potenze dell’Asse, vedendola come un’opportunità per eliminare qualsiasi futura influenza tedesca nei negoziati di pace, simile al ruolo svolto da Talleyrand nella diplomazia europea precedente. La prospettiva di Stalin fu profondamente influenzata dalla sua ideologia comunista, che non faceva distinzione tra nazioni democratiche e fasciste, sebbene considerasse le democrazie meno minacciose. La sua politica estera era pragmatica, dando priorità agli interessi sovietici e all’espansione territoriale, anche se ciò significava cogliere opportunità da alleati o nemici senza provocare guerre.

Con il progredire della Seconda Guerra Mondiale, la disponibilità di Stalin a discutere gli assetti postbellici era massima quando la situazione militare sovietica era disastrosa. I primi tentativi di negoziare con gli Alleati furono ostacolati dalla riluttanza di Roosevelt a discutere prematuramente i termini di pace. Dopo la vittoria cruciale a Stalingrado, tuttavia, Stalin divenne fiducioso nei guadagni territoriali sovietici e ridusse il suo impegno diplomatico, facendo affidamento invece sulla conquista militare per assicurarsi gli obiettivi postbellici. Churchill, consapevole dei precedenti storici della negoziazione con le potenze espansionistiche, era pronto a discutere la ristrutturazione postbellica dell’Europa fin dall’inizio, ma mancava della leva sufficiente per influenzare Stalin efficacemente senza un adeguato supporto militare.

Churchill affrontò il compito arduo di navigare tra le influenze in espansione degli Stati Uniti e dell’Unione Sovietica, che minacciavano la posizione e la sicurezza globali della Gran Bretagna. La visione di Roosevelt sull’autodeterminazione sfidava l’Impero Britannico, mentre le ambizioni di Stalin in Europa rappresentavano minacce dirette agli interessi britannici. Churchill, da una posizione di relativa debolezza, si sforzò di mantenere un equilibrio di potere come base per la pace, pienamente consapevole che la Gran Bretagna non poteva più sostenere tale equilibrio indipendentemente dopo la guerra. Riconobbe la necessità di promuovere forti legami con gli Stati Uniti, spesso concedendo alle strategie americane per garantire che la Gran Bretagna non fosse isolata nell’ordine globale emergente.

La complessità delle relazioni Alleate fu sottolineata dai sentimenti contrastanti di Roosevelt verso Churchill e Stalin. Sebbene personalmente più vicino a Churchill, Roosevelt spesso dava priorità agli interessi strategici rispetto a questa amicizia, a volte esprimendo critiche più dure verso Churchill che verso Stalin. L’approccio di Roosevelt era caratterizzato da una fondamentale sfiducia nei motivi britannici, che lui e i suoi consiglieri consideravano potenzialmente egoistici e imperialistici. Questo scetticismo plasmò le reazioni americane alle proposte britanniche, promuovendo un nuovo ordine mondiale libero dalla politica di potenza tradizionale, che Hull articolò come un rifiuto delle vecchie strategie diplomatiche europee come le sfere d’influenza e l’equilibrio di potere.

La posizione di Roosevelt sul colonialismo fu un punto di contesa significativo, sottolineando l’anti-imperialismo e promuovendo lo sviluppo e l’indipendenza delle nazioni colonizzate. Questa posizione si scontrava con gli interessi britannici, ma risuonava con i principi anti-coloniali americani. Le discussioni su questo argomento misero in evidenza prospettive divergenti sul ruolo degli imperi nel mondo moderno, con Roosevelt che spingeva per l’applicazione della Carta Atlantica a livello globale, incluse le colonie britanniche. Ciò portò a dibattiti continui sul futuro del colonialismo, con l’amministrazione Roosevelt che promuoveva una visione di diffusa decolonizzazione in contrasto con la politica imperiale britannica.

Le differenze strategiche e ideologiche tra i leader Alleati non solo influenzarono la diplomazia in tempo di guerra, ma gettarono anche le basi per il mondo postbellico. I leader americani e britannici gestirono queste differenze con un occhio sia agli obiettivi militari immediati sia alla ristrutturazione globale a lungo termine, riflettendo una complessa interazione di interessi nazionali, obiettivi ideologici e dinamiche personali tra Roosevelt, Churchill e Stalin.

L’approccio americano alla strategia militare ha storicamente separato la politica estera dalle azioni militari, una filosofia che riflette le sue esperienze nella Guerra Civile e nella Prima Guerra Mondiale, entrambe concluse con chiare vittorie. Questa segmentazione significava che gli sforzi diplomatici erano riservati alle fasi post-conflitto, un metodo che in seguito contribuì a complicazioni in Corea e Vietnam. Al contrario, la strategia britannica, profondamente influenzata dalle limitazioni di risorse e dal bilancio devastante della Prima Guerra Mondiale, ha sempre intrecciato l’azione militare con considerazioni diplomatiche, mirando a minimizzare le perdite e a gestire contemporaneamente le conseguenze geopolitiche.

Churchill, riconoscendo la posta in gioco strategica e diplomatica, propugnò manovre aggressive nell’Europa meridionale durante la Seconda Guerra Mondiale, considerando queste regioni non solo come obiettivi militari ma come aree cruciali per limitare l’influenza sovietica postbellica. Tuttavia, i leader militari americani, dando priorità al confronto diretto con le forze tedesche, liquidarono in gran parte la strategia di Churchill per l’Europa meridionale come un tentativo di sfruttare le forze americane per gli interessi nazionali britannici. Questa divergenza strategica sottolineava priorità diverse: gli Stati Uniti premevano per un secondo fronte diretto in Francia, mentre Churchill cercava di manipolare i teatri europei per arginare il potere sovietico dopo la guerra.

Roosevelt dimostrò una leadership decisionale in tempo di guerra affermando il focus Alleato sulla sconfitta della Germania per prima, contrariamente ad alcune preferenze militari americane per dare priorità al teatro del Pacifico. Le sue decisioni facilitarono significative operazioni Alleate come gli sbarchi in Nord Africa e in Italia, che indebolirono strategicamente la Germania prima dell’invasione del D-Day in Normandia. Queste azioni, sebbene ritardate, si allinearono con la spinta di Stalin per un secondo fronte per alleviare la pressione sulle forze sovietiche, sebbene per ragioni strategiche diverse – Stalin mirava a tenere la lotta lontana dall’Europa orientale dove gli interessi sovietici postbellici erano più concentrati.

Il dibattito sulla tempistica e sul posizionamento del secondo fronte continuò a influenzare la politica postbellica e l’inizio della Guerra Fredda. I critici in seguito sostennero che i ritardi nello stabilire questo fronte esacerbarono la sfiducia e il cinismo sovietici, considerati fattori che contribuirono alla posizione irrigidita di Stalin nell’Europa orientale. Tuttavia, questa visione sottovaluta l’approccio pragmatico e strategico di Stalin, evidenziato dai suoi precedenti impegni con Hitler e dalla sua storia di spietate manovre politiche.

La decisione della leadership americana di posticipare le discussioni sull’ordine postbellico fino a dopo la vittoria giocò un ruolo critico nel plasmare il paesaggio finale della Guerra Fredda. Questo approccio, guidato dalla politica di resa incondizionata di Roosevelt, era inteso a prevenire negoziati di pace divisivi e a rassicurare gli alleati sul reciproco impegno per la vittoria totale. Tuttavia, questa politica significò anche che il mondo postbellico fu plasmato senza accordi preliminari sulla ristrutturazione politica, portando a un vuoto di potere riempito dalle forze più assertive e strategicamente posizionate alla fine della guerra.

La leadership di Roosevelt fu determinante nel plasmare i quadri internazionali per il mondo postbellico attraverso varie conferenze che posero le basi per istituzioni globali come le Nazioni Unite e gli accordi economici di Bretton Woods. Tuttavia, il suo fermo rifiuto di discutere gli obiettivi di guerra o affrontare potenziali disaccordi con i Sovietici preparò il terreno per le tensioni postbelliche, poiché gli Alleati non avevano stabilito una visione condivisa o un equilibrio di potere per il paesaggio postbellico, lasciando questioni irrisolte che in seguito avrebbero acceso conflitti geopolitici.

Stalin inizialmente percepì la riluttanza di Roosevelt a impegnarsi in discussioni sull’assetto postbellico come una mossa tattica, intesa a trarre vantaggio dalla situazione militare sovietica. Il leader sovietico era guidato dall’obiettivo di forgiare un nuovo equilibrio di potere dal previsto collasso delle forze dell’Asse. A differenza dei suoi alleati occidentali, Stalin non era interessato a principi astratti come quelli delineati nella Carta Atlantica; al contrario, preferiva negoziati concreti, in particolare quelli che coinvolgevano aggiustamenti territoriali. Il suo approccio era basato sulla Realpolitik tradizionale: egli prevedeva lo smembramento della Germania, uno spostamento verso ovest della Polonia e l’annessione sovietica degli stati baltici, contravvenendo direttamente al principio di autodeterminazione della Carta Atlantica. In cambio, era disposto a sostenere gli interessi strategici britannici nell’Europa occidentale.

Nonostante la gravità della situazione bellica, Stalin continuò a spingere per questi obiettivi fino al 1942. Churchill mostrò una certa disponibilità a negoziare sui termini sovietici, ma Roosevelt e i suoi consiglieri si opposero fermamente a qualsiasi concessione territoriale o di equilibrio di potere, allineandosi al loro più ampio rifiuto della diplomazia del Vecchio Mondo. Questa posizione fu evidente nelle comunicazioni di Roosevelt, che enfatizzavano l’adesione ai principi dichiarati piuttosto che fare accordi territoriali opportunistici. I tentativi di Stalin di solidificare le sue richieste, incluso proporre patti di assistenza reciproca con Romania e Finlandia, furono accolti con resistenza dagli Stati Uniti, che vedevano tali mosse come una rinascita di tattiche imperiali screditate.

Con il progredire della guerra, la strategia di Stalin divenne chiara: mirava a garantire i confini sovietici ed espandere l’influenza senza fare significative concessioni. Questo approccio fu evidente durante la visita di Molotov a Washington nel 1942, dove Roosevelt propose un nuovo ordine mondiale basato sulla sicurezza collettiva piuttosto che sui tradizionali equilibri di potere, sperando che ciò fosse più attraente per Stalin delle espansioni territoriali che cercava. La visione di Roosevelt includeva un’amministrazione fiduciaria internazionale per le ex colonie, un’idea che credeva si sarebbe allineata con gli interessi di sicurezza più ampi degli Alleati.

Molotov, tuttavia, rimase concentrato sugli obiettivi sovietici immediati, inalterato dalle proposte ideologiche o diplomatiche degli Alleati. I suoi negoziati rispecchiavano le sue precedenti discussioni a Berlino, mostrando una costante ricerca degli interessi territoriali e strategici sovietici. La mancanza di risposta di Stalin alle aperture di Roosevelt e il suo successivo silenzio sulla questione indicarono una decisione strategica di aspettare la fine della guerra per finalizzare qualsiasi accordo, anticipando che una posizione militare sovietica più forte avrebbe aumentato la sua leva al tavolo della pace.

In definitiva, la pazienza e il posizionamento strategico di Stalin gli permisero di entrare nei negoziati postbellici con guadagni sostanziali già in mano, utilizzando efficacemente questi come leva per plasmare gli accordi finali a favore degli interessi sovietici. Questo approccio sottolineò le nette differenze nelle strategie diplomatiche tra gli Alleati, con l’Unione Sovietica che impiegava una strategia pragmatica, focalizzata territorialmente, che contrastava nettamente con l’idealismo americano e la miscela britannica di pragmatismo e principio.

La strategia diplomatica di Roosevelt durante la Seconda Guerra Mondiale fu fortemente influenzata dalla sua necessità di mantenere il supporto pubblico americano, che generalmente si opponeva ai concetti europei tradizionali come le sfere d’influenza e l’equilibrio di potere. Comprendendo che gli ideali americani erano cruciali per sostenere lo sforzo bellico, Roosevelt mirava a posizionare Stalin in modo da salvaguardare la sua reputazione, possibilmente come misura preventiva per contrastare qualsiasi espansionismo sovietico postbellico. Lo storico Arthur Schlesinger, Jr. suggerì che Roosevelt si preparò al potenziale deterioramento delle relazioni sovietico-americane sviluppando una robusta infrastruttura militare, sebbene sembri che la motivazione primaria di Roosevelt fosse rafforzare lo sforzo bellico piuttosto che esplicitamente proteggersi dalle ambizioni sovietiche.

L’approccio personale di Roosevelt alla diplomazia fu evidente nelle sue interazioni con Stalin, contrastando nettamente con la posizione più cauta e pragmatica di Churchill. Il tentativo di Roosevelt di organizzare un incontro con Stalin da solo, senza Churchill, nello Stretto di Bering sottolinea la sua dipendenza dalla diplomazia personale. Il proposto incontro informale, che alla fine non ebbe mai luogo, mise in evidenza l’approccio unico di Roosevelt nel forgiare una connessione personale diretta con Stalin.

I due principali vertici che ebbero luogo, a Teheran e a Yalta, furono significativi non solo per le loro discussioni strategiche, ma anche per i giochi psicologici e tattici giocati da Stalin. Entrambi i vertici furono strategicamente posizionati vicino al territorio sovietico che, insieme all’atteggiamento di Stalin, servì ad affermare il dominio sovietico e a mettere i leader occidentali in svantaggio. Roosevelt, nonostante la sua salute in declino al momento della Conferenza di Yalta, mostrò una costante preferenza per promuovere la cooperazione con Stalin, spesso a scapito di affrontarlo direttamente su questioni controverse come il destino dell’Europa orientale e della Polonia.

A Teheran, la decisione di Roosevelt di accettare l’invito di Stalin a soggiornare nella villa controllata dai Sovietici fu un gesto di buona volontà, eppure fece poco per distogliere Stalin dai suoi obiettivi strategici, in particolare la sua insistenza sull’apertura ritardata di un secondo fronte in Francia e sulla completa smilitarizzazione della Germania. La capacità di Stalin di controllare la conversazione e concentrarsi su regioni lontane dalla presto controversa Europa orientale dimostrò la sua abilità nella gestione delle interazioni diplomatiche.

La gestione della questione polacca da parte di Roosevelt a Teheran fu particolarmente indicativa del suo stile diplomatico. Espresse accordo personale con i piani di Stalin, ma citò considerazioni politiche interne, in particolare la significativa popolazione polacco-americana, come ragioni per la sua incapacità di sostenere apertamente la posizione di Stalin in quel momento. Questo approccio lasciava intendere la più ampia strategia di Roosevelt di ritardare impegni fermi e mantenere aperte le opzioni americane, nonostante i potenziali rischi che ciò comportava per l’assetto postbellico.

Durante queste interazioni, Roosevelt mantenne una prospettiva ottimistica sulle intenzioni sovietiche, il che rifletteva non solo il suo stile diplomatico personale, ma anche un più ampio ottimismo americano sul potenziale per la cooperazione postbellica. Ciò fu emblematico di una tendenza nazionale a favorire una visione più idealistica e umanitaria delle relazioni internazionali rispetto a una strettamente geopolitica. Il pubblico americano e leader come il senatore Tom Connally percepirono azioni come lo scioglimento del Comintern come segnali di un movimento dell’Unione Sovietica verso i valori occidentali, un’interpretazione ottimistica che sottolineava una significativa sottovalutazione delle realtà ideologiche e strategiche del regime di Stalin.

Mentre gli Alleati compivano progressi significativi nel 1944, in particolare con gli sbarchi in Normandia, Stalin iniziò a stringere la presa sull’Europa orientale, aumentando gradualmente le sue richieste da aggiustamenti territoriali a un controllo politico totale. Questo spostamento fu emblematico dell’adesione di Stalin alla Realpolitik; egli propugnò apertamente l’imposizione del proprio sistema sociale ovunque le sue armate potessero arrivare, indicando un netto contrasto con gli approcci più idealistici favoriti dai suoi alleati occidentali.

Churchill, riconoscendo la gravità delle ambizioni di Stalin, tentò di negoziare direttamente con lui durante una visita a Mosca nell’ottobre 1944. Questa negoziazione portò a un accordo informale in cui l’influenza in vari paesi dell’Europa orientale fu ripartita in percentuale tra Sovietici e Britannici. Tuttavia, questo metodo di assegnazione dell’influenza si rivelò poco pratico senza meccanismi di attuazione o criteri chiari per la conformità. In definitiva, l’accordo ebbe scarso effetto sul consolidamento del potere sovietico nella regione, con paesi come la Jugoslavia che trovarono una relativa autonomia non grazie all’accordo, ma a causa dei loro stessi sforzi di resistenza.

Al momento della Conferenza di Yalta nel febbraio 1945, la situazione sul campo si era evoluta a tal punto che il precedente accordo Churchill-Stalin era essenzialmente irrilevante. Le forze di Stalin erano già trincerate nei territori contesi, decidendo di fatto la questione dei confini e del controllo politico attraverso la presenza militare piuttosto che attraverso negoziati diplomatici. A Yalta, Churchill e Roosevelt affrontarono le realtà del dominio sovietico e fecero significative concessioni, tra cui il riconoscimento dei confini sovietici del 1941 e l’accettazione di uno spostamento verso ovest dei confini della Polonia.

Roosevelt, nonostante la sua salute in declino, diede priorità all’assicurazione della cooperazione sovietica per le Nazioni Unite di nuova concezione e alla garanzia dell’impegno sovietico nella guerra contro il Giappone. La sua disponibilità a scendere a compromessi con Stalin sulle richieste territoriali in Asia, in particolare con concessioni in Manciuria e porti strategici, fu controversa e rifletté la sua più ampia strategia di integrare l’Unione Sovietica in un ordine internazionale postbellico che ostensibilmente mirava a eliminare la politica di potenza tradizionale come le sfere d’influenza.

Il dopoguerra di Yalta fu segnato da un’ottimistica rappresentazione di Roosevelt, che enfatizzò la formazione delle Nazioni Unite, minimizzando al contempo le concessioni fatte a Stalin e le implicazioni per l’Europa e l’Asia. Questa rappresentazione sottolineava una persistente speranza nella diplomazia americana che la cooperazione con l’Unione Sovietica potesse continuare pacificamente nel futuro prevedibile. Questo ottimismo fu riecheggiato anche dai consiglieri di Roosevelt, che credevano che Stalin, nonostante la sua presa autoritaria, potesse essere un partner ragionevole e a lungo termine. Questa narrazione di cooperazione ottimistica persistette nelle discussioni di politica estera americana ben oltre il periodo immediatamente postbellico, influenzando le relazioni degli Stati Uniti con i successivi leader sovietici e russi.

Mentre la Seconda Guerra Mondiale volgeva al termine, la complessa interazione tra strategia militare e manovre geopolitiche si intensificò. Stalin spostò strategicamente le sue richieste man mano che la posizione militare degli Alleati si rafforzava, passando dal controllo territoriale a quello politico assoluto. Questo spostamento fu emblematico dell’adesione di Stalin alla Realpolitik; egli propugnò apertamente l’imposizione del proprio sistema sociale ovunque le sue armate potessero arrivare, indicando un netto contrasto con gli approcci più idealistici favoriti dai suoi alleati occidentali.

Churchill, riconoscendo la gravità delle ambizioni di Stalin, tentò di negoziare direttamente con lui nel 1944. Ciò portò a un accordo rudimentale e in qualche modo disperato che delineava le sfere d’influenza nell’Europa orientale basate puramente su percentuali, un approccio sia nuovo che poco pratico data la mancanza di meccanismi di applicazione. Questo accordo alla fine fece poco per arginare il dominio sovietico che si dispiegò, poiché le forze di Stalin consolidarono il controllo sull’Europa orientale, indipendentemente dalle percentuali precedentemente concordate.

La Conferenza di Yalta nel febbraio 1945 dimostrò ulteriormente la leva decrescente degli Alleati su Stalin. Roosevelt e Churchill concessero alle richieste sovietiche riguardanti i confini del 1941 e gli aggiustamenti di frontiera della Polonia, mentre nominalmente ottennero un impegno da parte di Stalin per elezioni libere nell’Europa orientale – una promessa fatta con interpretazioni divergenti di “libertà”. Queste concessioni sottolinearono il conflitto inerente tra le strategie diplomatiche degli Alleati e le dure realtà dell’espansionismo sovietico.

La strategia di Roosevelt durante questi negoziati rifletteva un più ampio idealismo americano e una persistente sottovalutazione delle intenzioni strategiche di Stalin. Ciò fu evidente nella decisione di Roosevelt di concedere a Stalin significative concessioni in Asia in cambio dell’ingresso sovietico nella guerra contro il Giappone, concessioni che includevano territori strategici e un’influenza che aveva un significato storico ben oltre il loro valore militare immediato.

Nell’immediato dopoguerra, il paesaggio geopolitico fu notevolmente alterato. I Sovietici avevano esteso ampiamente la loro influenza, creando un nuovo equilibrio di potere che li favoriva pesantemente nell’Europa orientale e in alcune parti dell’Asia. L’approccio americano, che aveva enfatizzato alti ideali e l’istituzione di organizzazioni globali come le Nazioni Unite, affrontò le dure realtà dell’espansionismo sovietico e l’inizio della Guerra Fredda.

La visione ottimistica di Roosevelt sulla cooperazione postbellica affrontò sfide derivanti dalle realtà della politica sovietica e dalla riluttanza del pubblico americano a mantenere una presenza militare a lungo termine all’estero. Questa riluttanza si riflesse nelle assicurazioni di Roosevelt che le forze statunitensi non sarebbero rimaste in Europa a lungo dopo la guerra, spianando involontariamente la strada al dominio sovietico nell’Europa orientale.

La conseguente Guerra Fredda fu una testimonianza dei limiti della strategia Alleata e delle difficoltà nell’attuare una visione per un ordine mondiale pacifico basato sulla fiducia reciproca e sulla cooperazione. La spaccatura ideologica che emerse fu profonda, plasmando le relazioni internazionali per decenni e mettendo in risalto l’influenza duratura delle realtà geopolitiche sugli aspirazioni idealistiche. Il periodo postbellico si evolse così in una lotta prolungata per raggiungere la pace stabile che era sfuggita ai leader mondiali durante la guerra.


Puoi leggere il riassunto del capitolo successivo del libro cliccando su questo link.


Posted

in

Commenti

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *