
Nel 1994, Henry Kissinger pubblicò il libro L’arte della diplomazia. Fu un rinomato studioso e diplomatico che servì come Consigliere per la sicurezza nazionale e Segretario di Stato degli Stati Uniti. Il suo libro offre un’ampia panoramica della storia delle relazioni estere e dell’arte della diplomazia, con un focus particolare sul XX secolo e sul mondo occidentale. Kissinger, noto per il suo allineamento con la scuola realista delle relazioni internazionali, indaga i concetti di equilibrio di potere, ragion di Stato e Realpolitik attraverso diverse epoche.
Il suo lavoro è stato ampiamente lodato per la sua portata e la ricchezza di dettagli. Tuttavia, ha anche affrontato critiche per la sua attenzione agli individui piuttosto che alle forze strutturali e per la presentazione di una visione riduttiva della storia. Inoltre, i critici hanno sottolineato che il libro si concentra eccessivamente sul ruolo individuale di Kissinger negli eventi, potenzialmente sovrastimando il suo impatto. In ogni caso, le sue idee meritano considerazione.
Questo articolo presenta un riassunto delle idee di Kissinger contenute nel nono capitolo del suo libro, intitolato “Il Nuovo Volto della Diplomazia: Wilson e il Trattato di Versailles”.
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L’11 novembre 1918, il Primo Ministro britannico David Lloyd George dichiarò ottimisticamente la fine di tutte le guerre con la firma di un armistizio tra la Germania e le Potenze Alleate. Tuttavia, l’Europa non era lontana da un’altra guerra devastante. La Prima Guerra Mondiale, inizialmente prevista breve, si trasformò in un conflitto lungo e catastrofico. Le nazioni coinvolte, spinte da dispute prebelliche come l’influenza sui Balcani, il possesso dell’Alsazia-Lorena e la competizione navale, entrarono in guerra con l’aspettativa di una rapida vittoria. Man mano che la guerra procedeva con perdite massicce, queste questioni politiche svanirono e l’attenzione si spostò sul vedere il nemico come intrinsecamente malvagio, escludendo qualsiasi possibilità di compromesso.
Nelle prime fasi, un compromesso avrebbe potuto essere possibile nel 1915, quando entrambe le parti si trovarono in una situazione di stallo. Tuttavia, l’entità dei sacrifici e le crescenti richieste dei leader resero il compromesso difficile. Questo approccio non solo peggiorò la situazione, ma smantellò anche l’ordine mondiale secolare.
Entro l’inverno 1914-15, il legame tra strategia militare e politica estera era andato perduto. Nessuna delle nazioni belligeranti osava cercare una pace di compromesso. Ad esempio, la Francia insisteva nel riconquistare l’Alsazia-Lorena, mentre la Germania rifiutava di cedere i suoi territori conquistati. La guerra divenne un’ossessione, con i leader che davano priorità alla vittoria nonostante l’immensa perdita di vite umane e la distruzione che essa causava. Il coinvolgimento di nuovi alleati come Italia, Romania e Bulgaria complicò ulteriormente la situazione, poiché ciascuno pretendeva una parte del bottino, riducendo la flessibilità diplomatica.
I termini di pace si evolsero in una lotta per la vittoria totale, riflettendo un cambiamento dalla tradizionale diplomazia aristocratica a una nuova era influenzata dalla mobilitazione di massa. Gli Alleati, specialmente dopo l’ingresso dell’America, inquadrarono la guerra in termini morali, sostenendo il disarmo della Germania e la diffusione della democrazia, il che implicava una sconfitta completa delle Potenze Centrali.
La Gran Bretagna, un tempo sostenitrice del mantenimento di un equilibrio di potere in Europa, cambiò posizione. Avvertendo una minaccia da parte di una Germania in ascesa, cercò misure permanenti per indebolire la Germania, come la riduzione della sua flotta navale.
I termini della Germania erano più specifici e geopolitici, richiedendo guadagni territoriali sia a Ovest che a Est. A Ovest, cercavano il controllo sulla Francia settentrionale e sul Belgio, e a Est, promettevano l’indipendenza polacca, una mossa che non riuscì a ottenere un significativo sostegno polacco e alla fine portò al duro Trattato di Brest-Litovsk con la Russia. Le aspirazioni della Germania per il dominio europeo erano chiare nella sua definizione di Weltpolitik.
Mentre la Prima Guerra Mondiale si svolgeva, entrambe le parti sperimentarono vittorie e sconfitte. La Germania sopraffece la Russia e indebolì Francia e Inghilterra, ma alla fine gli Alleati occidentali, aiutati significativamente dall’America, emersero vittoriosi. Il dopoguerra differì enormemente dal secolo di pace seguito alle Guerre Napoleoniche. Invece di equilibrio e valori condivisi, il mondo vide sconvolgimenti sociali, conflitti ideologici e i semi di un’altra guerra mondiale.
L’entusiasmo iniziale per la guerra svanì quando i popoli europei compresero che la capacità dei loro governi di fare la guerra non corrispondeva alla loro capacità di assicurare la vittoria o la pace. La guerra portò al crollo delle Corti e degli imperi orientali. L’Impero Austro-Ungarico svanì, la Russia cadde in mano ai Bolscevichi, la Germania soffrì la sconfitta, la rivoluzione e la dittatura, e Francia e Gran Bretagna, nonostante la vittoria, emersero geopoliticamente indebolite.
Nel mezzo di questo tumulto, l’America entrò sulla scena internazionale con fiducia e idealismo. Il coinvolgimento americano nella guerra rese possibile la vittoria totale, ma i loro obiettivi differivano significativamente dall’ordine europeo. L’America rifiutò l’equilibrio di potere e la Realpolitik, favorendo la democrazia, la sicurezza collettiva e l’autodeterminazione. Questi principi americani entravano in conflitto con la diplomazia europea, che si basava sulla propensione alla guerra e sulle alleanze formate per obiettivi specifici.
Le dottrine del Presidente Wilson sull’autodeterminazione e la sicurezza collettiva sfidarono la diplomazia europea. L’Europa aveva tradizionalmente aggiustato i confini per l’equilibrio di potere, spesso ignorando le preferenze delle popolazioni colpite. Wilson, tuttavia, rifiutò questo approccio, credendo che l’autodeterminazione e la sicurezza collettiva, non l’equilibrio di potere, avrebbero impedito le guerre.
Il concetto di una Società delle Nazioni, che avrebbe imposto il disarmo e la risoluzione pacifica delle dispute, emerse per la prima volta a Londra. Il Segretario agli Esteri britannico Grey, cercando il coinvolgimento americano nella guerra, propose questa idea a Wilson, che era già incline a tale cooperazione internazionale. Questa proposta fu un primo segnale della relazione speciale tra America e Gran Bretagna, dove le idee britanniche influenzarono sottilmente il processo decisionale americano.
La Società delle Nazioni, nonostante le sue origini britanniche, era fondamentalmente un concetto americano, immaginato da Wilson come un’associazione universale che mantenesse la sicurezza internazionale e prevenisse le guerre. Tuttavia, Wilson inizialmente esitò a impegnare l’America in questa organizzazione. Nel gennaio 1917, propose l’adesione americana, paragonandola a una versione internazionale della Dottrina Monroe.
L’idealismo di Wilson era pragmatico; era pronto a usare la leva finanziaria per promuovere le sue idee in Europa. Mentre gli alleati europei esitavano ad abbracciare pienamente le idee di Wilson a causa della loro divergenza dalla diplomazia tradizionale europea, non potevano nemmeno permettersi di alienare l’America. Questa dinamica creò le condizioni per la crescente influenza dell’America negli affari internazionali.
Alla fine del 1917, il Presidente Wilson inviò il Colonnello House in Europa per incoraggiare la formulazione di obiettivi di guerra allineati con la sua visione di una pace senza annessioni né indennità, sostenuta da un’autorità mondiale. Wilson fu inizialmente cauto, diffidando di offendere Francia e Italia a causa delle loro ambizioni territoriali. Tuttavia, l’8 gennaio 1918, presentò gli obiettivi di guerra dell’America al Congresso sotto forma dei Quattordici Punti, che erano divisi in due parti. I primi otto punti, considerati obbligatori, includevano la diplomazia aperta, la libertà dei mari, il disarmo, la rimozione delle barriere commerciali, la risoluzione imparziale delle rivendicazioni coloniali, il ripristino del Belgio, l’evacuazione del territorio russo e l’istituzione di una Società delle Nazioni. I restanti sei punti, considerati meno obbligatori, includevano il ripristino dell’Alsazia-Lorena alla Francia e l’autonomia per le minoranze negli Imperi Austro-Ungarico e Ottomano, tra gli altri. Ciò sollevò interrogativi sulla negoziabilità di alcuni termini, come l’accesso della Polonia al mare e gli aggiustamenti dei confini italiani.
Il discorso di Wilson segnò un cambiamento radicale nelle relazioni internazionali, proponendo un mondo basato su principi e leggi piuttosto che su potere e interessi. Offrì un approccio conciliatorio alla Germania, invitandola a unirsi a un ordine internazionale pacifico. Ciò rappresentò un significativo allontanamento dalle dinamiche di potere storiche, concentrandosi su atteggiamenti morali piuttosto che su obiettivi geopolitici.
Le idee di Wilson sull’equilibrio di potere furono rivoluzionarie. Criticò il tradizionale equilibrio di potere europeo come instabile e incline ai conflitti, sostenendo invece un nuovo ordine basato su principi democratici e sicurezza collettiva. Tuttavia, i leader europei erano scettici sull’idealismo di Wilson. Erano abituati a un quadro diplomatico basato sull’equilibrio di potere e dubitavano della fattibilità di un ordine mondiale fondato su giudizi morali.
Nonostante le loro riserve, le democrazie europee, desiderose del sostegno americano, inizialmente esitarono a sfidare apertamente le proposte di Wilson. Il Trattato di Brest-Litovsk tra Germania e Russia evidenziò le gravi conseguenze di una potenziale vittoria tedesca, mettendo ulteriormente a tacere i dubbi degli Alleati sull’approccio di Wilson.
Dopo la guerra, gli Alleati, stremati dai sacrifici e ancora dipendenti dall’America, esitarono a sfidare apertamente la visione di Wilson durante i negoziati di pace. Ciò fu particolarmente vero per la Francia, che uscì dalla guerra indebolita e preoccupata per la sua sicurezza contro la Germania. I leader francesi furono riluttanti a opporsi alla posizione americana, nonostante i loro timori che i principi di Wilson potessero non fornire una protezione adeguata contro future aggressioni tedesche.
La vulnerabilità della Francia fu esacerbata dal suo declino demografico ed economico rispetto alla Germania. La popolazione e la produzione industriale francese erano significativamente inferiori a quelle tedesche, una tendenza che era in atto sin dal XIX secolo. Questa disparità demografica ed economica sottolineava l’incapacità della Francia di mantenere da sola un equilibrio di potere con la Germania.
Lo scenario post-bellico differiva notevolmente dal periodo post-Vienna. Dopo la sconfitta di Napoleone, le potenze vincitrici rimasero unite, formando la Quadruplice Alleanza per prevenire qualsiasi minaccia revisionista. Tuttavia, dopo Versailles, gli alleati vincitori non mantennero tale unità. America e Unione Sovietica si ritirarono dagli affari europei, e la Gran Bretagna era ambivalente nei confronti della Francia. Questa disunione tra i vincitori lasciò la Francia particolarmente vulnerabile, affrontando la dura realtà che la sua sconfitta nel 1871 da parte della Germania non era un’anomalia, ma un riflesso del suo potere e della sua influenza diminuiti in Europa. La Francia considerò strategie per indebolire la Germania, come promuovere il separatismo nella Renania e occupare le miniere di carbone della Saar, ma queste erano solo misure parziali di fronte alla più ampia sfida strategica.
Due ostacoli principali impedirono la spartizione della Germania. Primo, il forte senso di unità in Germania, favorito da Bismarck, persistette attraverso varie prove, incluse le sconfitte in due guerre mondiali e le occupazioni straniere. I tentativi di interrompere questa unità, come la breve considerazione del Presidente francese Mitterrand di bloccare la riunificazione tedesca nel 1989, si rivelarono inutili. Secondo, il principio di autodeterminazione, sostenuto da Wilson, rese politicamente irrealizzabile per la Francia o i suoi alleati perseguire una tale spartizione. Nonostante l’impegno di Wilson per un trattamento equo come delineato nei suoi Quattordici Punti, alla fine concesse alcune misure punitive nel trattato di pace.
La Conferenza di Pace a Parigi, guidata da Wilson, affrontò la sfida di conciliare l’idealismo americano con le dure realtà della politica europea, in particolare le preoccupazioni di sicurezza della Francia. Wilson scese a compromessi sui suoi Quattordici Punti in cambio dell’istituzione della Società delle Nazioni, sperando che essa avrebbe affrontato eventuali rimostranze residue. Tuttavia, gli esiti delusero tutte le parti: la Germania si sentì tradita, la Francia rimase insicura, e gli Stati Uniti alla fine si ritirarono dall’accordo.
Il prolungato coinvolgimento di Wilson nei negoziati di Parigi lo portò a essere assorbito da dettagli tipicamente gestiti dagli uffici esteri. Questa attenzione ai dettagli distrasse dall’obiettivo più ampio di stabilire un nuovo ordine internazionale e portò a un trattato di pace che non si allineava completamente con la visione morale di Wilson.
I rappresentanti delle principali potenze alla conferenza avevano i propri programmi. David Lloyd George della Gran Bretagna, inizialmente promettendo di far pagare alla Germania la guerra, cambiò posizione tra le complesse dinamiche della conferenza. Georges Clemenceau della Francia, cercando di invertire l’ascesa della Germania, trovò i suoi ambiziosi obiettivi irraggiungibili. Vittorio Orlando dell’Italia diede priorità ai guadagni territoriali rispetto al principio di autodeterminazione, contribuendo all’erosione del quadro idealistico di Wilson.
L’esclusione dalle negoziazioni delle potenze sconfitte come la Germania e la Russia di Lenin complicò ulteriormente le cose. I tedeschi, aggrappati ai Quattordici Punti di Wilson, rimasero scioccati dai duri termini del trattato. Lenin condannò il processo di pace come uno schema capitalista. L’assenza di questi attori chiave e la mancanza di un programma chiaro portarono a una conferenza frammentata e inefficace, con numerosi comitati che affrontavano una miriade di questioni senza una strategia coerente per il futuro ruolo della Germania.
La Francia, perseguitata dalle invasioni passate, cercò misure di sicurezza tangibili contro la Germania. Tuttavia, proposte come rendere la Renania una zona cuscinetto erano in conflitto con le opinioni americane e britanniche, lasciando la Francia senza le garanzie che cercava. Il concetto di sicurezza collettiva, come immaginato da Wilson, non riuscì ad affrontare le immediate necessità di sicurezza della Francia.
La visione di Wilson per la Società delle Nazioni come un tribunale internazionale flessibile offrì una certa speranza per futuri aggiustamenti dei termini di pace. Credeva che la Società potesse arbitrare le dispute e modificare i confini, offrendo un approccio più dinamico alle relazioni internazionali. Ciò contrastava con il tradizionale equilibrio di potere, che Wilson e i suoi consiglieri vedevano come una fonte di aggressione e guerra. Nonostante queste aspirazioni, la capacità della Società di effettuare tali cambiamenti rimase incerta, e le lacune del trattato di pace erano evidenti.
Wilson immaginava la Società delle Nazioni come un’entità responsabile sia dell’applicazione della pace che della rettifica delle sue potenziali ingiustizie. Tuttavia, affrontò un dilemma: storicamente, i confini europei erano stati modificati tramite interessi nazionali piuttosto che appelli alla giustizia o a processi legali, eppure il pubblico americano non era pronto per un impegno militare per far rispettare il Trattato di Versailles. Il concetto di Società di Wilson confinava con un governo mondiale, che il popolo americano era ancora meno incline a sostenere rispetto a una forza militare globale.
Per aggirare questi problemi, Wilson propose di fare affidamento sull’opinione pubblica mondiale e sulla pressione economica come deterrenti contro l’aggressione. Tuttavia, le nazioni europee, specialmente la Francia, che aveva sofferto pesantemente in guerra, erano scettiche sull’efficacia di questi meccanismi. La Francia vedeva la Società principalmente come un mezzo per assicurarsi assistenza militare contro la Germania, dubitando della premessa della sicurezza collettiva secondo cui tutte le nazioni avrebbero valutato e risposto uniformemente alle minacce.
La riluttanza di Wilson a impegnare gli Stati Uniti a più di una dichiarazione di principi accrebbe le insicurezze della Francia. Gli Stati Uniti avevano precedentemente usato la forza per sostenere la Dottrina Monroe, ma erano esitanti quando si trattava di questioni europee, sollevando interrogativi sull’impegno americano per la sicurezza europea. Gli sforzi francesi per stabilire un meccanismo di applicazione automatica nella Società incontrarono resistenza, poiché Wilson e i suoi consiglieri temevano che il Senato non avrebbe mai ratificato tali impegni.
L’essenza della sicurezza collettiva, promossa da Wilson, si basava sulla fiducia reciproca tra le nazioni, un concetto che non rassicurò la Francia, data la sua posizione precaria. L’esito finale fu l’articolo 10 dello Statuto della Società, che affermava vagamente che la Società avrebbe fornito consulenza su come preservare l’integrità territoriale, lasciando di fatto le decisioni a un futuro consenso, molto simile alle alleanze tradizionali.
Di fronte al rifiuto americano di includere disposizioni di sicurezza concrete nel Patto, la Francia riprese la sua spinta per lo smembramento della Germania. Gli Stati Uniti e la Gran Bretagna, tuttavia, proposero un trattato che garantisse il nuovo assetto, accettando di entrare in guerra se la Germania lo avesse violato. Questa garanzia era simile agli accordi post-napoleonici, ma mancava della convinzione dietro di essa. La garanzia fu vista come una tattica per dissuadere la Francia dalle sue richieste di smembramento.
I leader francesi, desiderosi di garanzie formali, trascurarono il fatto che questi impegni erano più tattici che genuini. I consiglieri di Wilson erano contrari alla garanzia, vedendola come una contraddizione ai principi della nuova diplomazia e allo scopo della Società. La garanzia ebbe vita breve; il rifiuto del Senato degli Stati Uniti del Trattato di Versailles la annullò, e la Gran Bretagna ritirò rapidamente il suo impegno. L’abbandono da parte della Francia delle sue rivendicazioni per lo smembramento tedesco divenne permanente, ma le garanzie offertele furono temporanee e inefficaci.
Il Trattato di Versailles, firmato nella Sala degli Specchi del Palazzo di Versailles, simboleggiò un punto di svolta nella storia, ma non senza le sue contraddizioni e controversie. Scelto forse per simboleggiare la vittoria, il luogo riecheggiava anche umiliazioni passate, come la proclamazione di Bismarck di una Germania unificata nella stessa sala. Il trattato, cercando di essere punitivo ma non eccessivamente duro, lasciò i vincitori democratici in un perpetuo stato di allerta contro una Germania risentita.
Il Trattato impose significative restrizioni territoriali, economiche e militari alla Germania. Cedette vaste aree, incluse regioni economicamente vitali, e perse le sue colonie, portando a un dibattito sulla loro futura governance. L’insistenza di Wilson sull’autodeterminazione portò alla creazione del Principio dei Mandati, assegnando queste colonie ai vincitori sotto la veste di prepararli all’indipendenza – un processo vago e in gran parte inefficace.
L’esercito tedesco fu drasticamente ridimensionato, e la sua capacità di guerra offensiva fu severamente limitata. Tuttavia, la Commissione Militare Alleata di Controllo istituita per supervisionare questo disarmo mancava di chiarezza ed efficacia. Economicamente, la Germania fu gravata da significative riparazioni, inclusi pagamenti per pensioni di guerra e risarcimenti, che erano senza precedenti e divennero una fonte di controversia continua. Inoltre, la perdita della sua flotta mercantile, dei beni stranieri e delle restrizioni sulla sua autonomia economica si aggiunsero alle sue rimostranze.
Il tentativo del Trattato di bilanciare l’idealismo americano con le preoccupazioni europee si tradusse in un compromesso che non soddisfò nessuno. Creò una pace fragile che dipendeva pesantemente dall’applicazione da parte di Gran Bretagna e Francia, che non erano pienamente allineate. Il principio di autodeterminazione, centrale nel Trattato, si rivelò problematico in pratica, specialmente nei nuovi stati formatisi dalla dissoluzione dell’Impero Austro-Ungarico. Questi stati finirono con significative popolazioni minoritarie, portando a conflitti interni e instabilità.
Lloyd George, riconoscendo il potenziale per futuri conflitti a causa della presenza di popolazioni tedesche in questi nuovi stati, previde i problemi che sarebbero potuti sorgere. Tuttavia, nessuna alternativa praticabile fu presentata, e il Trattato andò avanti senza affrontare queste questioni fondamentali. I leader tedeschi in seguito affermarono di essere stati indotti in errore dai Quattordici Punti di Wilson, sostenendo che la natura punitiva del Trattato fosse un tradimento. Tuttavia, la Germania aveva abbracciato questi principi solo quando la sconfitta sembrava imminente.
Il fallimento del Trattato era radicato nella sua struttura. A differenza della pace raggiunta dopo il Congresso di Vienna, che era sostenuta da un equilibrio di potere, conciliazione e valori condivisi, il Trattato di Versailles mancava di questi elementi. Era troppo duro per essere conciliatorio ma non abbastanza duro da impedire la rinascita della Germania. Le opzioni strategiche della Francia – formare una coalizione anti-tedesca, spartire la Germania o conciliare la Germania – erano tutte piene di difficoltà e alla fine infruttuose.
Il Trattato rafforzò inavvertitamente la posizione geopolitica della Germania. Senza un vicino forte a est e vicini indeboliti altrove, la Germania non affrontava alcun significativo contrappeso. Inoltre, il Trattato favorì una resistenza psicologica, sia in Germania che tra i vincitori, contro i suoi termini. L’inclusione della clausola di colpa di guerra, che attribuiva alla Germania la sola responsabilità per la guerra, fu particolarmente controversa e minò la legittimità morale del Trattato.
In sintesi, il Trattato di Versailles, pur intendendo frenare il potere tedesco, finì per creare condizioni che rafforzarono il potenziale della Germania per il dominio in Europa. Impose vincoli fisici ma non riuscì ad affrontare le dinamiche geopolitiche e gli aspetti psicologici sottostanti, portando a una situazione in cui, una volta che la Germania superò le sue limitazioni iniziali, poté emergere ancora più forte. La riflessione di Harold Nicolson sul Trattato ne colse appieno il fallimento: un nuovo ordine che complicò semplicemente il vecchio.
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